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Altra grande firma per il Politico.it Mondo Pannunzio di J. Gawronski

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Il grande giornalista ed europarla- mentare del Ppe traccia per il gior- nale della politica italiana uno spaccato della nostra tradizione liberale a partire dalla recensione dell’ultimo libro del professor Pier Franco Quaglieni (che ha firmato ieri il nostro editoriale sulla caduta del Muro di Berlino): “Liberali puri e duri-Pannunzio e la sua eredità”. Gawronski descrive il gruppo del grande settimanale pannunziano figlio, scrive l’ex corrispondente Rai, della tradizione culturale crociana ma non di quella politica. Un pezzo di storia della politica italiana assolutamente da non perdere, solo su il Politico.it. Buona lettura. E buono studio.

Nella foto, Jas Gawronski

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di JAS GAWRONSKI

Ho scritto di fretta la prefazione al libro di Pier Franco Quaglieni “Liberali puri e duri-Pannunzio e la sua eredità” ed. Genesi, evidenziando più il vuoto che colma che non le caratteristiche del volume. Infatti la mia preoccupazione era quella di evidenziare come su Pannunzio si fosse scritto poco e male e che il suo nome non compaia nelle ultime edizioni delle enciclopedie e delle storie letterarie, mentre in passato persino Asor Rosa nel suo manuale scolastico aveva fatto cenno al “Mondo”, sia pure etichettandolo come un giornale” azionista”.

L’aver scritto la prefazione potrebbe far pensare ad un non sufficiente distacco critico dal volume e dal suo autore, mentre io credo di non essere stato equanime nella mia sinteticità proprio nei confronti del libro che raccoglie una serie di saggi e di articoli dello storico e pubblicista Pier Franco Quaglieni che, dall’inizio degli anni 70, si è occupato nei suoi studi di Pannunzio e, attraverso il Centro Pannunzio di Torino, ha contribuito a tenere vivo in maniera determinante il ricordo del fondatore del Risorgimento liberale e del “Mondo”, come già tanti anni fa disse Giovanni Spadolini.

Il volume è stato definito da Mirella Serri una pietra miliare negli studi pannunziani perché viene delineato un ritratto di Pannunzio che non rientra nei soliti schemi di una certa vulgata e che ci rivela un Pannunzio liberale ed anticomunista sul quale c’era bisogno di fare chiarezza.

Continuare a confondere Pannunzio con Ernesto Rossi, Pannunzio con l’azionismo, Pannunzio con il radicalismo pannelliano è un errore storiografico oltre che un’operazione politica che ha dei margini di ambiguità. Pannunzio infatti è stato sempre e coerentemente un anticomunista intransigente come fu un antifascista coerente.

Il lavoro di Quaglieni mette in evidenza come i punti di riferimento di Pannunzio siano stati Benedetto Croce ed in parte meno evidente (a causa del settennato al Quirinale) Luigi Einaudi. Salvemini fu un ospite gradito ed illustre del “Mondo” ma non un ispiratore, come spesso invece è stato anche autorevolmente scritto.

“Il Mondo” fu un punto di incontro di più culture, ma la figura di Pannunzio non si può staccare dalla tradizione liberale più autentica senza tradirla.

Ed allora nel libro possiamo trovare i profili di Carlo Antoni e Vittorio De Caprariis due colonne portanti del giornale di Pannunzio, così come si possono leggere pagine significative su Ennio Flaiano – redattore capo del giornale -, Nicolò Carandini, Rosario Romeo, Arturo Carlo Jemolo, Arrigo Olivetti, editore-mecenate del giornale pannunziano, Giovanni Spadolini.

Quaglieni, tra l’altro, ha pubblicato una decina di anni fa il carteggio Croce-Pannunzio e quindi più di ogni altro ha indagato il rapporto tra il maestro e l’allievo: leggendo come Pannunzio si rivolge a Don Benedetto si coglie a pieno il rispetto profondo che caratterizzava il loro rapporto in un’epoca nella quale ribellarsi a Croce era quasi una moda da parte di allievi che pure dovevano molto al magistero ed anche all’appoggio culturale dato da Croce ai tantii che si rivolgevano a lui.

Ho letto di recente il bel volume curato da Fabio Grassi Orsini e Gerardo Nicolosi “I liberali italiani dall’antifascismo alla Repubblica” (ed. Rubbettino) e mi ha incuriosito il diario del biellese Anton Dante Coda, un liberale che veniva spesso a Pollone sia a casa Croce sia a casa Frassati, casa della mia famiglia materna.

Con mia grande sorpresa ho letto alcuni giudizi proprio su quel gruppo di liberali romani che facevano capo a Pannunzio e Carandini che erano usciti dal Pli nel 1947 per poi tornarvi nel 1951. Vale la pena di citare cosa ne pensasse Croce nel gennaio 1948 :«In quel gruppetto romano c’è molto spirito di prepotenza e di vanità personale e scarsa devozione al bene pubblico(…).Forse anche nessuno di essi ha senso politico né vigore di mente. Sono od ostinati o dilettanti».

Si tratta di giudizi taglienti ed impietosi che si rivelano quasi inconciliabili con la collaborazione di Croce al “Mondo” di Pannunzio a partire, un anno dopo, dal febbraio 1949.

Forse Quaglieni che per una serie di ragioni, è «amico crocianissimo», come lo ha definito Silvia Croce, ha evidenziato troppo il legame stretto tra Croce e Pannunzio, evitando di approfondire i momenti di scontro tra i due. E’vero, come scrive Quaglieni, che “Il Mondo” nacque e morì crociano, ma è anche vero sul piano politico (non su quello culturale) ci furono delle differenze. Va invece riconosciuto come l’autore scriva di Pannunzio con il distacco dello storico, senza indulgenze a quell’icona pannunziana che lui stesso, peraltro, ha contribuito in più di quarant’anni a creare.

JAS GAWRONSKI


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